La Rosa d’Ajello, romanzo storico di Sergio Ruggiero
Nel 1273 un giovane artigiano, Folco di Perugia, si aggrega a un drappello di Templari diretti in Terra santa. A san Giovanni d’Acri viene a contatto con una consorteria segreta, a causa della quale viene condannato dall’Ordine e suppliziato.
Scampato alla morte, torna segretamente in Italia con un imbarco di fortuna per Messina, per poi raggiungere la città di Ajello passando da Amantea, nel giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana, alla ricerca di un compagno di viaggio, un cavaliere angioino rimasto in quella guarnigione militare.
Ad Ajello il giovane fuggiasco è catapultato in una dimensione straordinaria, popolata da personaggi sorprendenti, infetta dal maligno e ottenebrata da una “voce” misteriosa che di notte urla maledizioni agli angioini lanciando anatemi e parafrasando versi dell’Apocalisse di Giovanni.
Ma Luigi di Joinville, un abate benedettino, sospetta che la “voce” appartenga ad Alpetragio d’Ajello, uno studioso cha aveva frequentato la corte di Federico II di Svevia, lo stupor mundi. L’abate, raffinato intellettuale, sapeva che Alpetragio, ufficialmente dato per morto, possedesse libri e fosse titolare di un sapere straordinario.
In questo piccolo universo di misteri che lo avviluppano e lo disorientano, Folco conosce una giovane ragazza con la quale vive una storia d’amore destinata a sopravvivere alla morte, il cui esito s’incastra inevitabilmente con l’epilogo drammatico dell’inchiesta di Luigi di Joinville sul conto di Alpetragio.
Una costruzione storica e filosofica meticolosa, un intreccio di vicende oscure alternate a luci prorompenti, in una narrazione ricca di riferimenti filologici e semiologici medievali, e di vorticosi colpi di scena. L’affanno delle tenebre, la tormentata ricerca di una sublime conoscenza e la storia di un amore sconfinato, sono i pilastri di questo racconto “avvincente e senza tempo”.
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“Oltre i confini fra storia, romanzo, avventura: un fuoco mistico che pervade una trama avvincente e senza tempo”.
Barbara Henry (Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento S. Anna di Pisa).
In quel tempo soggiornava ad Amantea un gioachimita di nome Tusco, ospite del convento francescano. Era venuto dall’abbazia di Fonte Laurato, in territorio di Fiumefreddo, un antico cenobio bizantino che nel 1201 era stato donato all’abate Gioacchino da Fiore. Tusco ad Amantea cercava luce. Era sulle tracce del santo di Assisi di cui si diceva essere il padre della Chiesa nel sopraggiunto “terzo status”, quello dello Spirito Santo, profetizzato dall’abate della Sila.
Il gioachimita assistette alle atrocità commesse dagli angioini e vide i dèmoni inviati dal trono di satana. Riconobbe in Carlo l’anticristo, il drago dalle sette teste e il re persecutore, e negli alleati i suoi accòliti.
A quel punto si convinse che soltanto l’ira del Signore potesse salvare il mondo dall’inferno perpetuo e dalla sinagoga di satana.
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