Riconoscimento della Commissione Cultura del Comune di Cosenza per il prof. Remo Naccarato. Le foto della serata

Nella sala Quintieri del teatro Rendano di Cosenza, oggi pomeriggio, 25 settembre, è stato conferito il riconoscimento alla carriera di "Calabrese eccellente nel mondo" all'Aiellese Remo Naccarato, uno dei padri della gastroenterologia italiana.

Dal sito del Comune di Cosenza

Consegnato, alla presenza del Sindaco Occhiuto, riconoscimento alla carriera al Prof.Remo Naccarato, gastroenterologo cosentino di fama internazionale

“Una figura così ricca ed eclettica, con una straordinaria formazione professionale ed accademica, non disgiunta dalle sue evidenti doti umane, avrebbe fatto molto comodo all’interno dei nostri ospedali, ma nel nostro territorio, che pure ha grandi potenzialità ed un capitale umano di assoluto riguardo non c’è stato, purtroppo, l’humus giusto per far sì che eccellenze come il prof. Remo Naccarato potessero restare qui ed arricchire il nostro patrimonio”.
Lo ha detto il Sindaco Mario Occhiuto intervenendo questa sera nella Sala “Quintieri” del Teatro “Rendano” dove era in programma la cerimonia di consegna al prof. Remo Naccarato, uno dei padri della gastroenterologia italiana e personalità di spicco nel campo della ricerca, insigne accademico dell’Università di Padova e figura di primo piano con meriti acquisiti anche a livello internazionale, di un riconoscimento alla carriera attribuito dalla Commissione cultura del Comune di Cosenza, presieduta da Claudio Nigro.
Al prof. Naccarato, nativo di Aiello Calabro, oggi ottantaduenne, ma con un’energia e una capacità comunicativa veramente sorprendenti, si deve la fondazione della Scuola di Specializzazione in Gastroenterologia ed Endoscopia dell’Università di Padova, da lui diretta dal 1976 al 2003.
Libero docente in Patologia Speciale Medica dal 1965, ha insegnato nell’ateneo del capoluogo veneto Clinica delle Malattie Tropicali e Subtropicali, Gastroenterologia e Patologia Speciale Medica.
Grande Ufficiale della Repubblica Italiana, il prof. Naccarato ha fatto anche parte del Consiglio Superiore della Sanità. 
Il Sindaco Occhiuto si è detto grato al prof. Naccarato per quello che rappresenta a livello nazionale ed internazionale. “Per quanto poca cosa sia questo riconoscimento, rispetto a quelli che è abituato a ricevere – ha aggiunto il primo cittadino – la città di Cosenza è onorata di consegnarglielo, attraverso la Commissione cultura, perché proviene direttamente dal cuore della nostra città e della nostra comunità”. 
La cerimonia, introdotta dal Presidente Nigro, ha visto la relazione del consigliere Mimmo Frammartino che ha ripercorso puntualmente la prestigiosa carriera del prof. Naccarato ricordandone anche i trascorsi da studente, a Cosenza, del Liceo Classico “Bernardino Telesio” (in sala “Quintieri” c’era anche qualche compagno di classe, come Ettore Cozza e Tonino Guzzo). Dal “Telesio” di Cosenza al “Virgilio” di Roma e poi all’Università di Padova dove Remo Naccarato si laureò nel 1957 e dove ottenne, nel 1964, il suo primo incarico al Policlinico dopo aver vinto una borsa di studio per specializzarsi in Olanda e dopo altre due specializzazioni, a New York e a Londra. 
Frammartino ha inoltre ricordato il legame inscindibile tra la Calabria ed il prof. Naccarato anche se “ha eletto l’Università di Padova a sua compagna per sempre”. Un impegno ed una smisurata passione per il sapere che sorprende ma che gli è valsa, di recente, anche la medaglia al merito deontologico attribuitagli in occasione del premio intitolato ad Achille De Giovanni, primo presidente dell’ordine dei medici di Padova. Basta leggere la motivazione per rendersi conto di come il prof. Naccarato sia diventato un punto di riferimento insostituibile per i suoi allievi, alcuni dei quali presenti anche alla cerimonia di Cosenza: “per la spinta motivazionale trasmessa agli allievi della sua scuola e per essere un esempio di etica professionale per tutti i medici padovani”. 
“E in quel veneto dove un altro calabrese, Bruno da Longobucco otto secoli fa, nel 1200, si accorse che era giunto il momento di cambiare la filosofia della medicina, portandola ad un livello colto, Remo Naccarato – è ancora il consigliere Frammartino a parlare – continua a fare scuola”. 
Nel corso della cerimonia sono intervenuti, tra gli altri, la Vice Presidente della Commissione cultura Maria Lucente, il consigliere Francesco Perri, il Sindaco di Aiello Calabro Franco Iacucci e il prof. Giampiero Avruscio, cosentino come l’eccellente cattedratico e primario di angiologia all’Ospedale di Padova, che ha molto insistito sia sulle indiscusse qualità professionali del prof. Naccarato, ma anche sulla sua missione tesa ad umanizzare la medicina. 
Quando prende la parola, il prof. Naccarato, dopo aver ringraziato il Sindaco Occhiuto, la Commissione cultura e tutta la città, comincia a sfogliare l’album dei ricordi. 
La mente va al ponte Mario Martire bombardato durante la guerra e al Liceo “Telesio” dal quale si vedeva anche il “Rendano” bombardato. Non dimentica la sua passione calcistica per il Cosenza, evocandone la prima promozione in serie B “con Vignolini capitano e De Maria coach”. Una passione, quella per il calcio, che ha continuato a coltivare anche negli anni successivi scendendo direttamente in campo ogni mattina, alle 7,00, prima di recarsi in Ospedale. Prima di ritirare il premio, non rinuncia ad una breve, ma profonda lectio su alcuni principi importanti della medicina, richiamando il messaggio, del 1714, di un pioniere come Bernardino Ramazzini: “E’ meglio prevenire che curare”. Raccomanda il riorientamento dei servizi sanitari e virtuose politiche pubbliche per la salute. Tra gli altri consigli: uno stile di vita sano che contempli l’attività fisica e una sana alimentazione. Poi ricorda le 12 regole del codice europeo contro il cancro senza dimenticare due parole ancora per gli anziani, da considerare una risorsa. “Invecchiare bene deve essere una priorità globale e, ultima avvertenza, bisogna continuare a lavorare anche nella terza età”. E la prova provata è il suo costante impegno, nonostante le ottantadue primavere.
La serata è stata conclusa da una performance musicale del “Trio Beethoven” composto dal pianista Fabio Falsetta, dal violinista Davide Stratoti e dal violoncellista Leo Stratoti che hanno eseguito i “Klaviertrios Op.1 n.1 e n.2” di Beethoven.

Ambiente&Salute. Il Registro Tumori della Calabria, strumento fondamentale per monitorare l’incidenza delle malattie oncologiche e poter calibrare di conseguenza azioni sanitarie di prevenzione

Quando ce n’eravamo occupati a dicembre 2013, il Registro tumori di Cosenza e Crotone pareva sul punto di essere accreditato dall’Airtum (associazione che coordina i Rt italiani e che svolge attività di raccordo metodologico). Invece, si registrano ritardi sulla tabella di marcia, probabilmente dovuti ai concomitanti impegni dell’equipe medica che si dedica alle attività di registro e a quelle di screening oncologico. Una dotazione di pochi addetti, tra medici e rilevatori, che l’Asp dovrebbe potenziare per procedere con maggiore solerzia. Altrimenti si rischia seriamente di vanificare l’impegno profuso da parte degli operatori, ed il lavoro sinora realizzato.

Tra i progressi fatti dal team del Registro che comprende le province di Cosenza e Crotone (popolazione di riferimento 850 mila residenti), si possono annoverare la raccolta dei dati delle tre annualità 2006-2008, e l’acquisizione di un “datawarehouse”, una banca dati, a costo zero, frutto della collaborazione tra Dipartimento informatico dell’Unical ed Asp di Cosenza. Tuttavia, non è stata ancora avanzata, segno che non tutto è pronto, la richiesta di accreditamento all’Airtum. Un requisito fondamentale – così prescrive il regolamento dell’associazione – che certifica la conformita dei dati e delle procedure agli standard qualitativi ritenuti necessari al fine di contribuire alla Banca Dati. Si prevedono, dunque, tempi più lunghi. Tant’è che «il processo di accreditamento – come ci ha detto Emanuele Crocetti, segretario nazionale Airtum – richiede non solo che la registrazione sia iniziata ma che sia in corso da tempo come processo consolidato». E che prevede come ulteriori step, insieme all’invio contestuale della casistica inerente i dati di incidenza, mortalità e popolazione relativi ad almeno tre anni consecutivi, la valutazione della Commissione, con eventuali richieste di chiarimenti, una “site-visit” valutativa, e, quindi, la relazione finale che darà il via libera.

Il Registro Tumori della Calabria era stato istituito con delibera di Giunta regionale del marzo 2010. Il solo che sinora fa parte delle rete Airtum è quello della provincia di Catanzaro (direttore Antonella Sutera Sardo), attivo già dal 2003, istituito formalmente nel 2008, ed accreditato dall’Airtum nel 2010 (le cui pubblicazioni dal febbraio 2013 sono state accettate anche dall’IARC, l’International Agency for Research on Cancer), al quale ora è aggregato anche il Rt di Vibo. Quello di Cosenza e Crotone (dir. Anna Giorno) è istituito formalmente invece dal 2008, mentre quello di Reggio Calabria (dir. Filomena Zappia) è del febbraio 2013. Tutti i tre RT sono coordinati dal Dipartimento regionale di Tutela della Salute.

Lo scorso anno, tra dicembre 2013 e marzo 2014, della questione se n’era occupata, con diverse sedute, la Terza Commissione del Consiglio regionale, sedute nel corso delle quali erano stati auditi comitati civici e associazioni ambientaliste di tutta la regione, che avevano chiesto una velocizzazione dell’operatività dei registri e, prima ancora, la realizzazione delle bonifica dei tanti, troppi, territori inquinati di questa nostra martoriata Calabria. Un’attività istituzionale che ha prodotto, poi, un ampio dossier inviato pure al Ministero della salute. Al di là di queste buone intenzioni, però, ad un anno di distanza, non si registrano novità di rilievo.

Eppure, è di tutta evidenza che il Registro Tumori è uno strumento fondamentale per monitorare l’incidenza delle malattie oncologiche, la loro diffusione territoriale, e le fasce di popolazione coinvolta. Necessario ed utile per risalire scientificamente alle cause di insorgenza dei tumori, per la valutazione dei trattamenti più efficaci, e per poter calibrare di conseguenza azioni sanitarie di prevenzione. Il diritto alla salute è una priorità ineludibile. Come priorità ineludibili – e gli amministratori regionali non potranno sottrarsi al compito di reperire le risorse necessarie – sono le bonifiche ambientali da fare, che abbisognano di parecchi milioni di euro. Solo per quella della valle Oliva vicino Amantea (Cs), tanto per fare un esempio, servono circa 21 milioni di euro.

 

La pagina del Quotidiano del Sud di giovedì 27 novembre 2014.

LINK UTILI

Il Registro tumori della Calabria. Lo stato dell’arte (Post del dicembre 2013)
L’argomento trattato sul Blog (su blogspot)

Santa Lucerna, una montagna di misteri e leggende

Monte S. Lucerna, tra misteri e leggende – Pubblicato su Il Domenicale de Il Quotidiano della Calabria 10 luglio 2011, pp. 18 e 19.
Le montagne calabresi nascondono ancora dei segreti? Certamente sì. Alcune, poi, sono state ispiratrici nel passato di leggende che ancora oggi vengono raccontate. È il caso, per esempio, di monte Santa Lucerna, in territorio di Grimaldi (Cs). Che, forse (gli addetti ai lavori però non si sbilanciano più di tanto), potrebbe, ed il condizionale è davvero d’obbligo, ospitare uno sconosciuto sito archeologico. 
Monte Santa Lucerna domina le vallate circostanti dai suoi 1.256 s.l.m in provincia di Cosenza, compreso nei territori dei comuni di Lago e Grimaldi. L’origine è ancora sconosciuta, e presenta una conformazione rocciosa complessa. Il clima è di tipo appenninico, quasi alpino. Così è descritto su Wikipedia.
Intorno a questa montagna aleggiano pure vecchie storie. Sono delle leggende di origine longobarda che parlano – come ci informa il Prof. Antonio Guerriero su un numero di “Grimaldi 2000” che cita un precedente scritto di Luigi Silvagni in Cronaca di Calabria – di una chioccia con sette pulcini d’oro, immensi tesori nelle viscere di S. Lucerna lì depositati «da una regina, padrona e signora delle fu antichissime e doviziose città di Alba-Longa, di Tirirocca e Serralonga e, a guardia di essi, sta un enorme serpente dall’alito asfissiante con doppia filiera di acutissimi denti e dalla coda biforcuta e tagliente a mo’ di rasoio, raggomitolato tra le sue formidabili spire al di sopra dei grandi vassoi di argento che contengono oro e pietre preziose. Allo scoccar della mezzanotte dal principio d’ogni plenilunio, sul Pizzone, dalle profondità della montagna – racconta Guerriero -, balza un gallo dalle penne d’argento, dai piedi e dalla cresta d’oro, con gli occhi di grossi zaffiri, che canta tre volte e subito sparisce, per dar posto ad una chioccia con sette pulcini, tempestati tutti di oro e di brillanti che, per pochi minuti, razzolano ed indi spariscono anch’essi. Al fortunato che cattura il gallo, la chioccia ed i pulcini, si spalanca dinanzi ai piedi il nascondiglio degli ambiti tesori, e ne sarà assolutamente padrone, allorquando avrà sostenuto e vinto un impari lotta con il mostruoso serpente».
Questo luogo misterioso è stato meta di recente di un gruppo di appassionati, novelli Indiana Jones alla ricerca di novità. Al ritrovo, sul valico di Potame, di buon mattino, man mano giungono un po’ da tutta la Calabria. Una quarantina di amanti di trekking, natura, geologia, archeologia e storia. A capeggiare il drappello è il prof. Gioacchino Lena, presidente dell’Istituto per gli Studi Storici di Cosenza che ha organizzato la giornata assieme alla SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale) sez. Calabria. Insieme a lui, a farci da guida, il geologo Gaetano Osso, e lo storico Sergio Chiatto che a margine dell’escursione ha poi tenuto una conversazione sugli aspetti storici del luogo (vedi box).
Un caffè al bar Tre Monti, che non ha nulla a che fare col ministro, e via in direzione della montagna misteriosa. Un luogo importante, Santa Lucerna, che incute rispetto e interesse, non solo per l’aspetto geo-naturalistico, ma anche per quello storico-archeologico, sui quali Lena e Osso, con Amedeo Brusco e Nicola Paoli hanno condotto un preliminare studio, presentato nell’aprile dello scorso anno in occasione del Convegno Nazionale sul Patrimonio Geologico a Sasso di Castalda (PZ).
Arriviamo sul posto con le auto, alcune si fermano prima per la strada accidentata. Quando ci ritroviamo tutti, inizia la piccola inerpicata. Tra di noi, c’è anche la dott.ssa Rossella Agostino, della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria che valuta con attenzione quanto le guide ci mostrano.
In particolare Nino Osso illustra le caratteristiche morfologiche del sito, una finestra tettonica costituita da dolomie triassiche, con i versanti che si affacciano verso il mare ripidi e scoscesi, accidentati per la presenza di guglie, balze e dirupi dovuti ai fenomeni di erosione e dissoluzione dei costituenti carbonatici. L’interno è invece contraddistinto da numerose spianate sommitali e dalla presenza di doline, che nella porzione centrale deprimono l’acrocoro fino alla quota di 1213 m s.l.m.. Tutto il territorio di Potame costituisce ancora uno degli habitat naturali o naturalizzati ancora integro e di grande valenza naturalistica e paesaggistica.Sarà la parte archeologica a far discutere i presenti. Niente di certo, ma le ipotesi che sembrano contrastare, potrebbero invece essere entrambe plausibili.
L’area è caratterizzata dalla presenza di numerosi filari in muratura costituiti da pietre con diverso orientamento, piccole strutture in elevato di varia misura con evidenti riutilizzi e formanti piccoli ambienti. L’area edificata si sviluppa in modo irregolare, seguendo la morfologia del sito, per una lunghezza di oltre 700 metri e una larghezza massima di circa 300. La tecnica costruttiva, irregolare e grossolana, non presenta alcun tipo di legante tra i componenti della tessitura.
L’ipotesi – lo ripetiamo – sebbene sia solo tale e che andrà supportata da scavi e da studi approfonditi, è che i numerosi resti possano essere parte di un sito archeologico. Tuttavia, c’è chi, come Pino Filice di Grimaldi, è certo che tutta l’area, che nel recente passato è stata sfruttata con intensive coltivazioni agricole (patate, germano ecc.), ed i resti, altro non sono che opera di chi coltivava la zona (portando l’acqua dal vicino fiume Tenise con mezzi di fortuna), e dai pastori che la frequentavano.
Non resta che aspettare scavi e studi degli esperti, se e quando ci saranno, per saperne di più. Quello che è certo, per il momento, è che il luogo merita di essere visitato. Unica raccomandazione, andateci attrezzati da trekking e con qualcuno del posto che vi faccia da guida.
 
S. Lucerna, luogo di frontiera
di Sergio Chiatto
Il 13 febbraio 1404, quale filiale della parrocchiale di Grimaldi, (intitolata a San Pietro, della quale v’è traccia almeno dal 1360) la chiesa, sine cura, di Santa Lucerna di Monte Santa Lucerna, ricadente nella diocesi di Cosenza, risultò officiata da Don Antonio de Flore del casale di Paterno, il quale contemporaneamente fu provvisto della terza porzione della chiesa parrocchiale di San Giovanni della stessa Paterno, solitamente retta da tre rettori. Qualche anno dopo, il 4 dicembre 1429, ne beneficerà, sebbene ad interim, tale Don Giacomo de Alessandro di Grimaldi), il quale nel contempo è il parroco (porzionario) della chiesa parrocchiale di San Pietro dello stesso luogo. Il de Alessandro subentrava al defunto Don Giovanni de Valle (originario anch’egli di Paterno). Appena quattro mesi dopo, esattamente il 29 aprile 1430, sarà Don Tommaso de Marsico ad acquisirne la prebenda, la cui prevedibile modestia, essendo la “nostra”, lo ripeto, chiesa “sine cura” (senza cura d’anime, ovvero chiesa – o cappella – solo filiale), era compensata dagli altri incarichi ricoperti dallo stesso de Marsico, il quale, appunto, era altresì titolare di una delle porzioni della chiesa parrocchiale di San Pietro, nonché di altre chiese (o cappelle) tutte di Grimaldi.
L’ultima notizia (tratta, come le precedenti, dal Regesto Vaticano per la Calabria del compianto P. Francesco Russo) sulla chiesa di Santa Lucerna di Monte Santa Lucerna, data 24 maggio 1442, allorquando la stessa veniva provvista a tale Don Angelo de Augustino di Motta Santa Lucia, parroco anch’egli di una delle porzioni della più volte nominata chiesa parrocchiale di San Pietro di Grimaldi, il quale subentrava al precedente beneficiato, Don Tommaso de Marsico, defunto.
Era forse ormai venuta meno la funzione assunta dalla chiesetta all’atto della sua edificazione, la quale, nelle intenzioni dei suoi fondatori, doveva render sacro e quindi inviolabile il sito e fungere così da deterrente nei confronti di coloro i quali avessero avuto di mira la violenta acquisizione di quel territorio, che i grimaldesi, giova rammentarlo, avevano strenuamente e vittoriosamente conteso ai vicini in occasione di uno dei soliti riordini territoriali, uno dei quali avvenne proprio in ambiti quattrocenteschi. Perché Santa Lucerna, per la sua eminente posizione, fu chiaramente un luogo d’avvistamento, oltre che un confine, o un “limite” (forse in più occasioni ed in tempi anche remoti); e tale è ancora, delimitando attualmente i territori di Grimaldi, Lago e Domanico. Una “frontiera”, talora, da difendere con ogni mezzo, brandendo se del caso pure simboli religiosi e perfino magici, come mostruosi serpenti posti a guardia di improbabili tesori. Nei secoli successivi, XVI e XVII sicuramente, stando agli utili studi di Don Franco Vercillo, il luogo (Santa Lucerna) risultava destinato a “difesa”. Ricordo che nel suo ambito, con alcune limitazioni naturalmente, vi si poteva legnare, far pascolare il bestiame e praticare l’agricoltura e “l’industria” casearia. I fondi interessati, cosiddetti “chiusi”, erano inibiti agli estranei; al contrario di quelli “aperti” dai quali l’università (l’odierno comune) traeva delle entrate che sovente servivano ad alleviare la fiscalità posta a carico dei cittadini.

C'era una volta. Ricordi di vita di Aiello Calabro. Il paese e lo stagno Turbole

Ajello in una foto d’epoca (lo stagno Turbole sullo sfondo)

L'incidente di Roswell

CHI CI CREDE agli Ufo? Chi li ha visti veramente, eccetto che in qualche fortunata serie televisive come X-files, o nei migliori film di fantascienza? Segnalazioni di oggetti volanti non identificati, casi di incontri ravvicinati, o addirittura di abduction come si chiamano in gergo i rapimenti da parte degli alieni, se ne sono registrati a migliaia in sessanta anni di ufologia, nata all’indomani del cosiddetto incidente di Roswell. Una cittadina del New Mexico negli States, diventata meta culto per gli appassionati di extraterrestri e dove agli inizi di luglio si è tenuto addirittura un Festival con tanto di concerti, tour guidati e convegni per gli ufologi di tutto il mondo.

Ma anche l’Italia, in fatto di visite aliene non è certo da meno. Da quanto ha sostenuto il CISU (Centro Italiani Studi Ufologici), durante il convegno internazionale di Saint Vincent nel giugno di quest’anno, i casi di oggetti volanti non identificati sono stati all’incirca 19 mila.

La Storia degli extraterrestri nasce agli inizi dell’estate del 1947. Dalle parti di Roswell c’erano stati strani avvistamenti. Oggetti a forma discoidale e luminosi. Alcuni rottami di uno di questi oggetti, precipitato il 2 luglio nel Foster Ranch di Corona, circa 120 Km a nord-ovest di Roswell, vengono ritrovati dal proprietario del ranch, McBrazel che subito avverte lo sceriffo George Wilcox. La notizia, dopo un sopralluogo dei responsabili della vicina base militare, arriva alla stampa e fa presto il giro del mondo. Ma l’FBI si affretta a smentire, sostenendo che a cadere a poca distanza da Roswell era stato semplicemente un pallone sonda. Intanto però si fanno insistenti le voci, i sospetti e le denunce degli abitanti di Roswell che avevano notato attività insolite dell’Aeronautica e dell’FBI, come supposti trasporti di relitti e corpi non umani. Si disse che era stata ritrovata l’astronave e pure alcuni corpi extraterrestri sui quali sarebbero state eseguite delle autopsie. In seguito si ipotizzò pure che quanto esaminato fosse custodito gelosamente nella fantomatica ed impenetrabile Area 51 nel Nevada, luogo misterioso che per i sostenitori delle teorie del complotto sugli Ufo sarebbe la base sotterranea dove i militari avrebbero effettuato nel tempo esperimenti su extraterrestri.

Tutta la vicenda, comunque, fu coperta dal Governo Usa dal più stretto riserbo. In questa fase un ruolo fondamentale lo ha una presunta commissione che si chiama Majestic-12, una organizzazione segreta di scienziati, militari, e dirigenti governativi di alto livello, costituita nel 1947 per ordine del presidente degli Stati Uniti Truman, che avrebbe avuto, come scopo principale, quello di studiare l’attività degli Ufo e nel contempo insabbiare le relative informazioni.

Dopo Roswell, per tanti anni, la questione viene quasi dimenticata. Ma nel 1980, due ufologi americani, Stanton Friedman e William Moore riportano l’attenzione dei media sull’incidente di Roswell con la pubblicazione di un libro. Poi anche altri si interessano al caso, sino ad arrivare al 1994 anno in cui, conseguentemente ad una inchiesta parlamentare, l’Aeronautica militare apre una indagine. L’inchiesta stabilisce che l’incidente di Roswell era connesso al progetto Mogul dell’Aeronautica e della New York University che attraverso il cosiddetto balloon group, realizzarono dei palloni spia per percepire da una altezza di 14 mila metri (una altitudine dove era presente un canale acustico particolare), eventuali test atomici della Russia, durante il periodo della guerra fredda. Una ipotesi fornita da fonti ufficiali che anche per il nostro Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) è abbastanza plausibile, anche se, fanno notare, «non esiste alcun documento ufficiale che dimostri un legame tra il Progetto Mogul e il caso Roswell».
Una “documentazione” che supporta invece la tesi dell’esistenza aliena, è il famigerato video dell’autopsia su un alieno, diffusa ad inizio anni ’90 dal produttore londinese, Ray Santilli che aveva avuto il filmato da un cameraman americano, trasmesso in Italia nel 1994 dal programma Rai “Misteri”. Sebbene seducente, per molti il filmato è però un clamoroso falso.

La questione sull’esistenza o meno di altre forme di vita nell’universo è chiaramente aperta e anche molto affascinante. Tanti i punti di vista.

Abbiamo raccolto sull’argomento una testimonianza di Paolo D’Angelo, giornalista aerospaziale e segretario nazionale della Italian Space Society, un appassionato astrofilo che spesso organizza incontri per le scuole con scienziati del calibro, per esempio, dell’astronauta Umberto Guidoni, già membro in passato dell’equipaggio dello Space Shuttle. «Non credo agli Ufo – ci ha detto – perché non “rispettano” le leggi della fisica universale. E poi faccio un semplice ragionamento: l’Uomo è sbarcato sulla Luna ed ha mandato dei robot su Marte. Esseri umani sono stati sulla Luna per giorni ed erano lì per esplorare e conoscere nuovi mondi. Altrettanto – spiega D’Angelo – hanno fatto i robot Pathfinder, Opportunity e Spirit sul suolo marziano. E sono ancora lì. Se andassimo in questo momento sulla Luna troveremmo le tracce del nostro passaggio e così su Marte. La mia domanda è: perché questi esseri arrivano sino a noi da chissà dove e poi fanno delle brevi apparizioni visti spesso soltanto da poche persone? Se arrivano sin qui per esplorare il pianeta Terra perché non scendono tra noi in maniera evidente, lapalissiana? Crederò agli UFO solo quando ne vedrò uno atterrare nel bel mezzo di uno stadio gremito da spettatori e per di più in diretta televisiva. Diverso è il mio pensiero sulla vita nell’Universo. Io credo – aggiunge – che esistano altre forme di vita oltre a quelle conosciute su questa Terra. Forse anche su Marte stesso. Ma non necessariamente devono avere le antennine e viaggiare su dischi volanti alla velocità della luce».