Alla memoria di Tonnuzzo Capparelli poesia di Franco Pedatella Giunge da Roma triste una notizia: Tonnuzzo Capparelli è deceduto. Non v’è ad Aiello pietra del selciato che non ne pianga l’indole scherzosa. Bontà di cuore, animo gentile, all’altrui duolo partecipazione, forte sentir legami parentali, spirito d’amicizia a tutti volto. Lo stil di vita han fatto queste doti di un uomo sempre pronto al bel sorriso e l’arte del cucir poi l’ha foggiato a fare il sarto nella sua bottega, ereditando l’arte di famiglia, da piú generazioni tramandata, che ha portato tanti Capparelli ad essere maestri del cucito. Vienmi in aiuto, o Musa, a consegnare ai posteri il ritratto di quest’uomo che, qui in paese amato, è poi partito quando a colpirci venne emigrazione! Era un paese, il nostro, di artigiani, professionisti d’ogni specie e grado. Coltivavan la terra i contadini con competenza e questa frutti sani e gustosi per la tavola rendeva. Poi vennero i prodotti a inferior costo. Il capitale vinse sul lavoro ed ebbe inizio l’esodo di massa. Si spensero le vie, non piú stridore di sega né un martello batter ferro o suola o legno s’odon e il silenzio ogni segnàl di vita involge in spire. Cosí se n’ va Tonnuzzo Capparelli, dal pianto dei suoi cari accompagnato, dei compaesani che lo conobber lieto, dal canto degli oranti consolato. Con lui scompare un pezzo di paese, un’ala del motór che lo moveva, della comunità il segno vivo, che oprava e producéa gioiosa e sana. Ma l’eco di sua voce ancor sentiamo, quando è l’estate in piazza lo vediamo, le sue parole ci son familiari, l’abbraccio col sorriso a noi rimane. Aiello Calabro, 31 gennaio 2023
Categoria: POESIA
In ricordo di Mario Giannuzzi
In ricordo di Mario Giannuzzi poesia di Franco Pedatella Mario Giannuzzi, ricordi il primo ottobre di quel lontan novecentosessanta, quando in carrozza andammo su al Telesio, tu al Liceo ed al Ginnasio io? Tu avevi la valigia preparata per stare al Convitto Nazionale; io solo la cartella quasi vuota pe ‘l primo giorno di una scuola nuova. Poi venne l’anno del Diploma ambíto, Licenza Liceale sospirata. Per l’iscrizione all’Università guida mi fosti a quella di Messina. Quivi in comune avemmo stanza e cibo e qualche libro e le ore di lavoro: studio complesso di letteratura, di versi, storia e lingue del passato. Questo lavoro lungo e impegnativo teneva noi per mesi concentrati per sostenere esami faticosi a fin di viaggio in treno e sul traghetto, ed alla fin ci rese professori bene istruiti a compier la missione di preparare i giovani alla vita fornendo conoscenze e formazione. Insegnavàm com’ Ėttor fu travolto anzi le mura d’Ilio e Odisseo il piano escogitò di distruzione di Troia e fe’ poi ad Itaca ritorno, e come Enea tradusse i suoi compagni nella città ond’ ebbe l’alba Roma, che al mondo diè il più grande impero antico fondendo civiltà, costumi e lingue. Poi il tempo fu dei Corsi Abilitanti. A Paola ti portavo la mattina. Fummo cosí abilitati a pieno, tu in Italiano, giuns’ io Greco e Latino. Tu fosti eccellente professore nel circondario prima e poi ad Aiello per numerosi anni di carriera ed alla fine fosti Dirigente. Le scelte in politica ci scissero: tu ti legasti al ceppo di famiglia democristiana, io fui di Sinistra, ma noi tenne affiatati l’amicizia. E poi gli scherzi innanzi al parapetto di fronte al bar di Peppe Nicastro, le accese discussioni quotidiane sulla Juventus, politica ed eventi locali, nazionali, culturali, in cui passion mostravi e conoscenza e gli interlocutori fronteggiavi e non ti davi mai inerme e vinto! Se l’argomento della discussione il calcio era e il tifo juventino, al fianco t’era Pietro Pucci a dire di Mattrel, Charles, Boniperti e Sivori. Udía contento tutto dalla Posta Tonino Riggio dietro il suo bancone. Mastr’Ugo abbandonava il suo cliente ad opera incompiuta e insaponato e usciva dal salone in fretta in fretta e s’affacciava in Piazza a dar manforte con Gaspare Pagnotta, anch’egli uscito dal suo negozio, u’ Pina avéa lasciato. Ti s’opponéan nel tifo i falegnami Settuzzo e Guido che, chiusa bottega, l’Inter veníano in Piazza a sostenere di Helenio Herrera che il “catenaccio” féa. Ore cosí di socializzazione passavan della vita del paese, quand’erano abitate ancor le case e a mezzodí spargéasi odór di sugo. La gente s’affacciava alle finestre o dai negozi e bar partecipava a queste discussioni che ogni giorno la vita animavan del paese. Altri gruppetti lungo il parapetto o innanzi al Dazio o a piè del Municipio pettegolezzi féano quotidiani o pregustavan l’ora della cena. Or questo giorno nero ti sottrae a quei che t’han voluto sempre bene, che mai l’affetto dimenticheranno che t’han donato e in cuor tuo ricambiasti. Le sacre Moire di cultura antica ti sian compagne in questo viaggio estremo e il canto lor funereo muti nota, novella annunciando primavera. Piange La Praca, geme San Giuliano; dei giuochi tuoi vivaci di bambino di mastro Settimio la bottega, ove il martèl batteva, ancor risuona; ed il negozio ‘e Za Mariuzza ‘e Mariu non piú partir ti vede la mattina per far ritorno a scuola ed al Convitto dopo i gioiosi giorni di vacanza. Aiello Calabro, 31 gennaio 2023
Il Presepe vivente di Aiello Calabro anno 2022, in una poesia di Franco Pedatella
Il Presepe vivente di Aiello Calabro anno 2022 Ѐ diventato quasi tradizione fare il Presepe Vivente ad Aiello, ove persone allegre e di buon cuore riviver fan l’albór del Bambinello. Le vie, le piazze, case abbandonate ritornano a comporre la cornice di quell’evento che tutto ha cambiato nel mondo ov’eran solo orgoglio e guerra. Mai l’umiltà, l’amor per il fratello. Eran parole ai molti sconosciute. Seguiva all’offesa la vendetta, la piú crudél, la più soddisfacente per quei che ritenévasi l’offeso e all’offensor chiedéa riparazione. L’idea non esisteva del perdono, ma solo la vendetta più bestiale. Con la venuta del Bambino santo tutto cambiò: perdono ed umiltate divennero parole dominanti. Non si sentí piú il povero sprezzato né il vinto uomo servo e dominato. Fu all’uomo dignità restituita e gli uomini tra loro affratellati. Cosí fu un mondo nuovo preparato. Da ogni angolo a questa idea attrezzato, da ogni casa a festa addobbata, dai personaggi sparsi per le vie, che pezzi della storia del paese ricordano ed altri che riportano al tempo dell’antica Palestina, l’anelito si leva a un mondo santo, che poi sarà dal Bimbo predicato. Tutta la gente avanza in processione, osserva le botteghe dei mestieri antichi che animavano il paese, da figuranti qui rappresentati con naturalità eguale al vero, ed i visitatori appassionano facendoli tornare per incanto al vero antico quivi rivissuto. Entra nell’area al fine preparata passando sotto l’arco a ciò approntato con arte da un artista raffinato che l’epoca romana ha qui ritratto. L’emblema c’è, ci sono i centurioni di tutto punto armati, alla difesa pronti della città fortificata. Cosí voleva Roma nei dominî. C’è il pozzo, dove uomini e animali spegnéan la sete di lor lungo andare, nel luogo che una volta era chiamato “U Làvuru”, dov’era una fontana. C’è il falegname, il sarto, il calzolaio, di sèggiole e di cesti il fabbricante, di pesci e alimentari il venditore, di caldo “pane untatu” il fornaio; le donne a lavar nelle tinozze intente ed altre a stendere il bucato; quelle al lavoro del telaio addette ed a filar la lana con il fuso; altre ancora intente a ricamare tovaglie finemente lavorate dove futuri ospiti saranno con generoso cuor sfamati e accolti. Dal mantice si leva nero fumo e il fabbro batte il ferro arroventato, mentre arrostisce il pesce calor lieve e mani delicate fan la pasta. Bracieri e attrezzi fatti con fin arte esposti sono al gusto dei passanti. S’affaccia intanto all’uscio il cantiniere, che tien di vino in man bicchiere e fiasco, pronto ad offrirne al gusto dei passanti e di quel che tra lor si vuol fermare, andando oltre l’assaggio, e soddisfare la gola ed un buon pasto consumare. Contento versa loro il vino nuovo e scalda cuore e gola agli avventori. L’agricoltore porta frutta fresca da terra buona coltivata a mano. Non mancano i “culluri” al focolare fritti, perché alla gola sian graditi, né il sapone a mano preparato come da tradizion del tempo antico. Aiello a Palestina s’è addobbato fondendo tradizioni dei due luoghi cosí come il Bambin qui fosse nato nella Capanna posta qui alla Praca. Sotto il castello del paese antico l’accampamento è posto dei Romani, gremito di soldati in gran tenuta pronti a colpir l’assalitor nemico. C’è il milite romano con la spada, il sacerdote della vecchia legge custode; c’è il console alleato che rappresenta l’ordine romano; Erode che si sente minacciato da chi da poco nel suo regno è nato e, per tenere il trono assicurato, s’appronta a far la strage dei neonati. La Sinagoga c’è, anche lo scriba ch’è addetto e intento alle sue funzioni, come a noi è stato consegnato da antica e validata tradizione. Palazzi antichi a giorno illuminati con i giardini intorno sono il segno che libertà, giustizia ed eguaglianza nei cuori e nelle menti sono entrate a costruire un mondo affratellato dov’ogni privilegio è superato e regna la concordia qual tra frati: non c’è piú il ricco né il diseredato. Questo messaggio vien dalla Capanna, donde già splende luce del Bambino prima ch’Ei manifesti la parola che al mondo annuncia la rivoluzione. Pure il Palazzo Cybo Malaspina, già sede di potenti dominanti, s’è illuminato, segno ch’è cambiato il mondo per l’arrivo del Bambino e Piazza del Popolo, ‘A Praca, è sede di Capanna illuminata. Il segno non va sottovalutato: giustizia ed uguaglianza han trionfato. La gente avanza verso la Capanna, che luce rigogliosa sparge intorno e illumina i luoghi ed il selciato e gli animi spalanca alla speranza. Un Angelo che illumina l’accoglie e mostra quella santa mangiatoia dove adagiato posa il Bambinello dal bue e dall’asinello riscaldato. Accanto son Giuseppe e Maria, al fin del lungo viaggio riposati, che al mondo mostran quel ben arrivato Bambino ispiratór di un nuovo mondo. Del mondo a lui s’inchinano i potenti; oro, incenso e mirra qual regale dono portano chini e generosi per ossequiar nuovo ordine mondiale. Aiello Calabro, 25 dicembre 2022 Franco Pedatella
Leggi la poesia anche sul Blog di Aiello Calabro e dintorni
‘A strina aiellise
‘A strina aiellise (di Franco Pedatella) Sîmu tornati tanti a stu paise ppe stare ‘n festa ‘nziemi ‘ntra stu mise, ne sédere alla tavula a mmangiare e stȃ ‘na picca allegri e ffissiare. Me vene urdure ‘e fungi d’ ‘a muntagna. Speriamu ca ‘un finisce sta cuccagna, ppecchí d’ ‘a casa vene ‘e za Maria profumu ‘e pane e ccarne. Cchi gulía! S’è rresbigliatu stu paise biellu, ‘un mande cchiú ‘a malaria ‘u Mariciellu: campenu tutti ed ogne quatrariellu sumiglie a cchistu santu Bumbiniellu. Ppecciò curriti allu tavulatu, ‘ndo’ cc’è ssazizze, pane e ssuppressate! Portati ‘e sutta ‘m pundu ‘u magazzinu chillu varrile ancore chjinu ‘e vinu. Ppe ffesteggiare stu biellu Natale e ‘nnu Bon Annu nuovu v’agurare, sîmu venuti cca ppe be cantare sta strina ca intra ‘u core fa scialare. ‘E fimmine d’ ‘a casa sû ‘e regine, i quatrarielli àrmenu ‘mbuine. I patri, ca d’ ’a casa sû i regnanti, ‘a tenenu luntana d’ ‘i briganti. Piglia ‘a farina frisca d’ ’u mulinu, fammícce tri tturdilli ccu llu vinu; ‘e mulingiane falle a ppruppette, ca po’ me tiegnu ‘m piedi ccu llu vette. ‘U furnu de ddon Cicciu e Vvucaturu, chillu d’ ‘A Praca senza stutaturu ‘mpúrnenu pane a ggara e a fuji fuji ppe nne carmare ‘a fame a ttutti nui. Vida ca ‘e castagne sû ccunchjute! Fammícce quattru vallani vulluti! ‘U riestu fallu stare alla fiammella, ca ne mangiamu puru ‘e roselle! ‘Mbísc-checce puru i rangi d’ ‘A Cappella, fammílli benedî d’ ‘a Madonnella, e i pimmaduori de sta Macchja bella, ppe mm’ ínchjere de cchjú sta panzarella! Portame puru ‘u piattu d’ ’e surache! Sulu a penzare, ‘u core mi s’annache. Ma cotte intr’ ‘a pignata de Vurjile! Mi nde mangiasse quantu ‘nu vacile. Ppe mme sciacquare ‘a vucca ‘nu momentu, ‘na guccia d’acqua cacce ogne tturmientu. M’ ‘a puorti intra chillu cucumiellu de grita de Vurjile ch’íe dd’Ajíellu! ‘A nive è scisa già ‘mberu ‘A Zinetta. Curra a mme fare priestu ‘a sciribetta! ‘U miedicu ‘u salutu de luntanu, le dicu “bonasira” e vaju chjanu. E nnun te riscordare d’ ‘i viscotta, ca mi nde mangiu tri tutti a ‘nna botta! Te raccumandu, chilli de Melina, ca i miegli sû dd’ ‘i munti alla marina. Si po’ ‘nu piattu puorti ‘e cullurella, i nuozzuli de puorcu d’ ‘A Ricella, crucette e fficu sicche d’ ‘u casciune, passamu ‘na sirata de barune. Ccu ttuttu stu mangiare c’ȃmu fattu ‘u miedicu ‘un ne serbe all’intrasatta. Anzi, ‘u sapiti chillu ca ve dicu? “Miedici e mmedicine mi nde fricu”. Chjudimu, cari amici, ccu ‘i saluti, ca pane e binu ‘u stomacu hȃnu inchjutu, e b’aguramu n’ annu ‘e cuntentizze e cc’ogne jjúornu ‘a manu ‘u fuocu attizze! Dopu chista mangiata e lla vivuta ve dugnu ‘a bonanotte ccu ‘nnu vutu: ‘n’ atr’annu tuornu cca ccu lla curuna e b’àguru ppe mmo’ bona furtuna. Ajíellu Calabru, ‘u trenta de dicembre d’ ‘u duimilaebintidui Franco Pedatella
Leggi la poesia anche sul Blog di Aiello Calabro e dintorni
Per la festa della Liberazione ad Amantea, 25 aprile 2022
Da Franco Pedatella riceviamo e postiamo.
Per la Festa della Liberazione ad Amantea 25 Aprile 2022 All’alba, quando in cielo appare il sole, noi siamo a terra pronte a lavorare; andiam per l’ampie piane di Calabria, olive raccogliendo fino a notte. Guai se drizziam la schiena a respirare! Curve sulle ginocchia ad una ad una tutte le raccogliam. Così il padrone sempre presente vuole, osserva e impone. Ma una mattina udiamo aerei e scoppi squarciare l’aria, giungerci vicini. Gente scappar vediam dal mare ai monti, parte impaurita, parte con l’armi in mano. Capiamo allór: la guerra pría lontana, per noi dogliosa sol perché figlioli e sposi al fronte lottano cadendo, ora è tra noi e l’invasore fugge e semina, ove passa, fame e morte. Perciò anche per noi or suona l’ora: non piú padroni, ma moviam le gambe i viveri a tagliare agli oppressori! I prigionieri chiusi in Ferramonti, che scappano, in casa nascondiamo! I confinati, qui a scontar mandati inesistenti colpe, aiutiamo! Tu, che sei fragil, spia dove s’accampa l’oste oppressor! Tu, che hai le gambe ratte, corri ad avvisare i frati al monte! Io forte son di braccia, l’arma prendo e vo in montagna a unirmi ai combattenti che voglion liberar la patria nostra dal piè straniero, che la opprime e strozza e toglie l’aria e il cibo ai figli infanti. Sbarriam le vie, tagliam la ritirata al vil fascista e al suo nazista amico! Apriamo l’avanzata agli Alleati! Andiamo ai monti e uniamci ai figli e sposi che l’armi non depongon, ma le puntano di contro agli oppressori e in corsa abbracciano fraterni i partigiani che combattono per far l’Italia una, sana e libera! Amantea, 25 aprile 2022 Franco Pedatella
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.